Cass. 26 aprile 2017, n. 10297.
Immobile privo di concessione edilizia: il contratto preliminare non è nullo

Con sentenza n. 10297 del 26 aprile 2017, la Cassazione chiarisce che la sanzione della nullità prevista dall'art. 40, L. 28 febbraio 1985, n. 47, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita. Lo si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1° settembre 1967. Ne consegue che, anche nel caso in cui il preliminare abbia ad oggetto un immobile privo della concessione edificatoria, si ritiene costituito tra le parti un valido vincolo giuridico.

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La causa aveva avuto inizio con citazione da parte del promissario acquirente di un immobile in Napoli, del quale era promittente la ricorrente, in forza di proposta d'acquisto accettata. L’attore aveva chiesto di dichiarare l'inadempimento della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni in misura di euro 30.000,00, pari al doppio della caparra versata, essendo l'immobile viziato da abusi edilizi insanabili, come confermato dal mancato parere favorevole alla domanda di concessione in sanatoriainoltrata dalla promittente la vendita. Il Tribunale di Napoli aveva accolto le domande e la Corte d'Appello, nel confermarne la decisione, evidenziava come fosse stato accertato il grave inadempimento della promittente venditrice per l'incommerciabilità dell'immobile abusivo, visto il rigetto dell'istanza di condono. I giudici del gravame aggiungevano che l'eccepita nullità del contratto esulasse dal tema del giudizio, mancando sul punto specifica domanda.

La soluzione ed i precedenti

La Suprema Corte (Cass. 26 aprile 2017, n. 10297), ha deciso la vertenza, rigettando il ricorso con cui la promittente venditrice, soccombente in tre gradi di giudizio, ha dedotto "violazione di legge e nullità della sentenza". La ricorrente, date per accertate l'abusività dell'immobile per la presenza di una sopraelevazione non condonata, l'incommerciabilità del bene e lamancanza di conoscenza di tale condizione dello stesso immobile dal parte del promittente acquirente, contesta che la Corte d'Appello non potesse dichiarare la legittimità del recesso del promittente l’acquisto e la conseguente risoluzione del contratto, in quanto avrebbe dovuto piuttosto sancirne la nullità, senza neppure disporre la restituzione del doppio della caparra. La ricorrente si duole altresì che la Corte di Napoli avesse erroneamente ritenuta tardiva la questione della nullità del preliminare, perché sollevata solo in appello, trattandosi di questione comunque rilevabile anche d'ufficio.

Il ricorso è stato ritenuto infondato.

La soluzione adottata dalla Corte d'Appello di Napoli, consistente nel giudicare tardivo, e perciò inammissibile, il rilievo di nullità del contratto, in quanto effettuato in giudizio vertente unicamente sull'inadempimento contrattuale. Le Sezioni Unite hanno infatti chiarito come, alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto negoziale, il rilievo "ex officio" di una nullità negoziale deve ritenersi consentito pure in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), sicchè il giudice ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti "ex actis", una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso (Cass. sez. un. 4 settembre 2012, n. 14828; Cass. sez. un. 12 novembre 2014, n. 26242). Tanto più va ribadito come la nullità del contratto sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo in una causa, quale quella in esame, in cui di tale contratto si deduca l'inadempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni dell'azione e a rilevare d'ufficio le eccezioni che, senza ampliare l'oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto. E in quanto, appunto, il rilievo della nullità del contratto dedotto in lite integra gli estremi non di un'eccezione in senso stretto, bensì di una mera difesa, esso ben può essere formulato nel giudizio di appello, come avvenuto nel caso in esame, purché sia fondato su elementi già acquisiti al giudizio.

Ciò posto come premessa, la cassazione è passata a rilevare che fra le parti era stato concluso un contratto preliminare di compravendita immobiliare e, ciò premesso, ha richiamato un principio essenziale, ormai pacifico in giurisprudenza, secondo cui la sanzione della nullità prevista dall'art. 40, L. 28 febbraio 1985, n. 47, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1° settembre 1967. Ne consegue che, anche nel caso in cui il preliminare abbia ad oggetto un immobile privo della concessione edificatoria, si ritiene costituito tra le parti un valido vincolo giuridico (Cass. 19 dicembre 2013, n. 28456; Cass. 18 luglio 2011, n. 15734; Cass. 11 luglio 2005, n. 14489).

La ricorrente ha sostenuto che i contratti di trasferimento immobiliare aventi efficacia meramente obbligatoria (quale, appunto, un preliminare di vendita), restano comunque disciplinati dall'art. 15, L. 28 gennaio 1977, n. 10, che prevedeva la nullità degli atti giuridici, aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, salvo che dal contenuto degli stessi atti risultasse formalmente ed inequivocamente che l'acquirente fosse a conoscenza della mancata concessione e quindi della nullità di cui si discute. Tuttavia, dovendo la ricorrenza dei requisiti di forma e di sostanza, necessari ai fini della validità di un contratto, riscontrarsi con riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo, basta osservare che si ha riguardo, nel caso in esame, a contratto preliminare di compravendita di immobile stipulato in data 10 maggio 2006, ovvero ben dopo l'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sicché non potrebbe comunque ad esso applicarsi la sanzione di nullità, prevista dall'art. 15, L. 28 gennaio 1977, n. 10, essendo stata detta disposizione interamente sostituita da quelle di cui al capo primo della stessa L. n. 47/1985, come stabilito dall'art. 2 di quest'ultima (così Cass. 21 agosto 2012, n. 14579).

Essendosi comunque negata la nullità del contratto, non rileva, pertanto, l'ulteriore questione circa le conseguenze del verificarsi di una delle cosiddette nullità speciali urbanistiche a carattere sostanziale sull'esperibilità dei rimedi (quale, appunto, il recesso) generalmente spettanti al compratore in caso di inesattezza giuridica della prestazione del venditore imputabile ad oneri, diritti non apparenti e non conosciuti, atti a limitare il godimento della cosa (su cui Cass. 19 dicembre 2006, n. 27129).

 

 

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in unico motivo per “violazione di legge e nullita’ della sentenza” avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1901/2013, depositata il 14/05/2013, la quale ha rigettato l’appello formulato dalla stessa Sansone contro la sentenza n. 9472/2009 del Tribunale di Napoli. La causa aveva avuto inizio con citazione del 19 dicembre 2006 di (OMISSIS), promissario acquirente di immobile sito in (OMISSIS), del quale era promittente venditrice (OMISSIS), in forza di proposta d’acquisto del primo accettata dalla seconda in data 11 maggio 2006. (OMISSIS) aveva chiesto di dichiarare l’inadempimento della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni in misura di Euro 30.000,00, pari al doppio della caparra versata, essendo l’immobile viziato da abusi edilizi insanabili, come confermato dal mancato parere favorevole alla domanda di concessione in sanatoria inoltrata dalla (OMISSIS). Il Tribunale di Napoli aveva accolto le domande di (OMISSIS) e la Corte d’Appello, nel confermarne la decisione, evidenziava come fosse stato accertato il grave inadempimento della promittente venditrice per l’incommerciabilita’ dell’immobile abusivo, visto il rigetto dell’istanza di condono. I giudici del gravame aggiungevano che l’eccepita nullita’ del contratto esulasse dal tema del giudizio, mancando sul punto specifica domanda.

(OMISSIS) resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso di (OMISSIS) deduce “violazione di legge e nullita’ della sentenza”. La ricorrente, date per accertate l’abusivita’ dell’immobile per la presenza di una sopraelevazione non condonata, l’incommerciabilita’ del bene e la mancanza di conoscenza di tale condizione dello stesso immobile dal parte del promittente acquirente, contesta che la Corte d’Appello non potesse dichiarare la legittimita’ del recesso del (OMISSIS) e la conseguente risoluzione del contratto, in quanto avrebbe dovuto piuttosto sancirne la nullita’, senza neppure disporre la restituzione del doppio della caparra. La ricorrente si duole altresi’ che la Corte di Napoli avesse erroneamente ritenuta tardiva la questione della nullita’ del preliminare, perche’ sollevata solo in appello, trattandosi di questione comunque rilevabile anche d’ufficio.

Il ricorso e’ infondato.

Va premesso come l’unico motivo di ricorso introduca una censura di violazione di legge e di nullita’ della sentenza, ma non indichi le nome di diritto su cui si fonda, come prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

In ogni caso, sotto il profilo processuale, non e’ corretta la soluzione adottata dalla Corte d’Appello di Napoli, consistente nel giudicare tardivo, e percio’ inammissibile, il rilievo di nullita’ del contratto, in quanto effettuato in giudizio vertente unicamente sull’inadempimento contrattuale. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito come, alla luce del ruolo che l’ordinamento affida alla nullita’ contrattuale, quale sanzione del disvalore dell’assetto negoziale, il rilievo “ex officio” di una nullita’ negoziale deve ritenersi consentito pure in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), sicche’ il giudice ha il potere – dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti “ex actis”, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullita’ del contratto stesso (Cass. sez. un. 4 settembre 2012, n. 14828; Cass. sez. un. 12 novembre 2014, n. 26242). Tanto piu’ va ribadito come la nullita’ del contratto sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo in una causa, quale quella in esame, in cui di tale contratto si deduca l’inadempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto. E in quanto, appunto, il rilievo della nullita’ del contratto dedotto in lite integra gli estremi non di un’eccezione in senso stretto, bensi’ di una mera difesa, esso ben puo’ essere formulato nel giudizio di appello, come avvenuto nel caso in esame, purche’ sia fondato su elementi gia’ acquisiti al giudizio.

Peraltro, l’erronea declaratoria di inammissibilita’ dell’eccezione di nullita’ rimane irrilevante, ai fini della cassazione con rinvio della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, potendosi in questa sede esaminare il merito del ricorso e rilevandosi la suddetta eccezione infondata, sicche’ comunque inutile sarebbe il ritorno della causa in fase di merito. A cio’ induce, in forza dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 384 c.p.c., consentendo di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo” (Cass. sez. un. 2 febbraio 2017, n. 2731).

Fra le parti era stato concluso un contratto preliminare di compravendita immobiliare, per quanto emerge dagli atti.

In forza, allora, dell’interpretazione di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuita’, la sanzione della nullita’ prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonche’ dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, puo’ intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1 settembre 1967. Ne consegue che, anche nel caso in cui il preliminare abbia ad oggetto un immobile privo della concessione edificatoria, si ritiene costituito tra le parti un valido vincolo giuridico (Cass. 19 dicembre 2013, n. 28456; Cass. 18 luglio 2011, n. 15734; Cass. 11 luglio 2005, n. 14489).

La ricorrente, peraltro, sostiene che i contratti di trasferimento immobiliare aventi efficacia meramente obbligatoria (quale, appunto, un preliminare di vendita), restano comunque disciplinati dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, articolo 15, che prevedeva la nullita’ degli atti giuridici, aventi ad oggetto unita’ edilizie costruite in assenza di concessione, salvo che dal contenuto degli stessi atti risultasse formalmente ed inequivocamente che l’acquirente fosse a conoscenza della mancata concessione e quindi della nullita’ di cui si discute.

Tuttavia, dovendo la ricorrenza dei requisiti di forma e di sostanza, necessari ai fini della validita’ di un contratto, riscontrarsi con riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo, basta osservare che si ha riguardo, nel caso in esame, a contratto preliminare di compravendita di immobile stipulato in data 10 maggio 2006, ovvero ben dopo l’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, sicche’ non potrebbe comunque ad esso applicarsi la sanzione di nullita’, prevista dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, articolo 15, essendo stata detta disposizione interamente sostituita da quelle di cui al capo primo della stessa L. n. 47 del 1985, come stabilito dall’articolo 2 di quest’ultima (cosi’ Cass. 21 agosto 2012, n. 14579).

Essendosi comunque negata la nullita’ del contratto, non rileva, pertanto, l’ulteriore questione circa le conseguenze del verificarsi di una delle cosiddette nullita’ speciali urbanistiche a carattere sostanziale sull’esperibilita’ dei rimedi (quale, appunto, il recesso) generalmente spettanti al compratore in caso di inesattezza giuridica della prestazione del venditore imputabile ad oneri, diritti non apparenti e non conosciuti, atti a limitare il godimento della cosa (su cui Cass. 19 dicembre 2006, n. 27129).

Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il al testo unico articolo 13, comma 1 – quater, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione di cui al ricorso R.G. 411/2015, integralmente rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 – bis.

 

 

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